Antologia Critica

 

  • Renzia D'Incà è una presenza ben individuata e viva nel panorama della giovane poesia italiana, avendo al suo attivo tre interessanti raccolte ( .....) Colpisce nel passaggio dall'una all'altra la radicale variazione dei registri poetici, ma insieme un'ostinata fedeltà ai temi dell'identità lacerata dell'io e dei problematici rapporti con l' "altro". Questa fedeltà si rinnova nella presente raccolta; ma, ancora una volta, con una mutazione di modalità e registri, che ne fa qualcosa di completamente diverso dalle precedenti. Non più misure lunghe, para-endecasillabiche, ravvivate da frequenti impennate liriche o epigrafiche, ma una versicolarità fluente, ininterrotta, con qualche sommesso suggello rimico, a ribadire per lo più il senso di uno scacco, di un nulla di fatto ( "un no opacizzato silente|un pervicace diniego! Un niente di niente"). Un tratto figurale in comune con le precedenti raccolte è dato da una sorta di vocazione ossimorica (" io emigrante in terra di nessuno|coincidenza di opposti" , suonava l'inizio di un testo de L'altro sguardo). Questa vocazione trova nel testi della presente raccolta una legittimazione, per così dire, istituzionale, trattandosi di frammenti seriali di una pratica psichica in atto, dove l'io è l'agens che mette in campo, senza più remore, le sue contraddittorie pulsioni. All'interno di questa affabulazione del soggetto, in simmetrica antitesi con esso, si delinea la presenza di un non-io insieme complice e tiranno, che riflette nella sua alterità le ambivalenze di desiderio dell'io, ma con tutto il potere di fascinazione che gli deriva dalla sua funzione di demiurgo (" il basilisco"). I singoli frammenti vanno dunque inseriti in una vicenda che ha nella continuità la sua stessa ragion d'essere. Ma con una precisazione essenziale: che quei frammenti non restano dei puri referti clinici; che la tensione autoanalitica si traduce, cioè, in creazione di linguaggio e di conoscenza.
    Luigi Blasucci (da L'immaginazione - Piero Manni editore, marzo-aprile 2006)
  • (.....) le sue poesie del volume Camera ottica mi sono risultate originali e singolarmente interessanti (.....) Non mi è facile descriverLe la forte tensione culturale apportatami dai suoi testi: la gamma dei topoi citati, ma anche discussi e contestati ( con buoni esiti storico-filologici), è qui vastissima; e poi resta da fare i conti con gli ambiziosi risultati espressivi ( mi ha particolarmente impegnato la serie che porta il titolo L'arte della fuga).
    Giorgio Cusatelli (lettera personale)
  • Ho letto i suoi testi con interesse e attenzione, apprezzandone gli esiti più marcatamente espressivi. Penso a " Bestia sono consegnata.." o "Eppure lo sai" fino a " Sono il cane e il suo bastone": mi sembra una linea che meriti di essere approfondita.
    Valerio Magrelli (lettera privata su alcuni inediti de Il Basilisco)
  • Ho ricevuto la sua Camera ottica (.....). Ho letto con attenzione ponendomi nel suo punto di vista. Magnifico di pag.66 " Riprendo..... Contemplo..... Freno.....Scrivo..... Accendo.." . Naturalmente il suo forte spirito critico-ironico-estetico-etico-civile si insinua ovunque, non dà tregua sovrasta, anche " la scriba-scrivente" e mira a centro-segno con rapidità e tensione espressiva sorprendenti. C'è una miscelazione intelligente scientifico-letteraria con risultati validi di alto livello. Traspare anche una matura elasticità espressiva di temi importanti articolati con cadenza serrata, sostenuta e senza cadute elegiache scipite. Mi pare che il suo lavoro sia sicuramente importante e significativo.
    Cesare Ruffato (lettera privata 3 novembre 2001 su Camera ottica)
  • Ho ricevuto il Suo L'altro sguardo, è un lavoro interessante che contiene inarcature folgoranti. Mi ricorda la migliore stagione del Simbolismo
    Massimo Giannotta (da lettera privata)
  • Mi avvicino alla tua scrittura, incalzante, nitida, sobria, un parlato lirico, un discorsivo alto (.....) Riconosco i profili del tuo mondo, che amo, come amo il tuo modo di esprimerti fortemente connotato di amarezze, di coinvolgimento con gli eventi tenuti a debita distanza, si direbbe per un'innata e naturale aristocrazia di sentire ( che non è disincanto, ma appunto , presa di distanza, dopo un cupo patire).
    Paola Lucarini (lettera privata su L'altro sguardo)
  • L'Altro sguardo è insieme un avvincente libro di poesia e un trattatelo di Estetica. Vi si possono attingere, infatti, valori, simboli, guide paradigmatiche e stremamente incisivi sul piano della meditazione filosofica, nonché una rivoluzionaria tabella sintattico-grammaticale, che cancella ed annulla tutte le regole del " bello scrivere" fondate sul rispetto dei segni d'interpunzione, degli accenti tonici e sull'applicazione rigorosa della sintassi dei casi e dei verbi.(.....) La poesia della D'Incà è una poesia colta. Avverti in essa la presenza dei classici da Saffo a Mimnermo, da Orazio a Seneca, da Dante all'Ariosto, a Foscolo a Leopardi fino ai moderni lirici e all'Ermetismo. Il tutto come un castello sorretto dai pilastri in cemento armato della filosofia, senza una precisa e organica tessitura, ma con chiare intuizioni speculative attinenti al filone agostiniano bergsoniano heidegeriano, che costituisce la struttura portante di quel maniero di sogni e alate fantasie.. E come la filosofia- quella filosofia antiintellettualistica- si scioglie e si invera nella poesia, così la poesia si identifica e si consustanzia con la vita
    Carlo Lapusata (da una lettera privata)
  • Opera composita, arricchita dalla prefazione di Mariella Bettarini e da una nota di Stefano Mazzacurati, dove l'andamento dialogico è accostato al monologo interiore, il respiro classico alla tensione centrifuga di un linguaggio tagliente, la trasposizione mitologica alla più dura contemporaneità. Le quattro parti del libretto ( Amor ctonio, Imago perversionis, L'arte della fuga, Apoptosi di un resto d'umano) segnano questa gradazione di toni; dall'incipit mitologico del poemetto Amor conio, in cui il dialogo di sapore teatrale conduce i temi dell'eros e della caccia in un ritmo dal classico equilibrio, si prosegue con le altre tre sezioni in un viaggio di secca drammaticità e inquietudine, dove l'attualità diventa protagonista ( soprattutto in Imago perversionis, col preciso riferimento alla guerra nei Balcani), specchio impietoso di una realtà povera di valori. La critica sociale dell'autrice è espressa con un verso energico, spigoloso, con prelievi linguistici di ampio raggio- dalle sottilmente ironiche citazioni letterarie al lessico più quotidiano, usurato dei mass media ("cerco un uomo simil vinile avvolto| in carta domopack| per poche lire")- teso sempre alla denuncia indignata e impietosa di un mondo disumanizzante. Le immagini a volte sono così crudamente indicatrici di questa desolante captività dell'animo umano ( "Incontrollati sbuffi di sangue| pulsano in grovigli di note") che sembra non esserci alcuna speranza (" Siamo una razza da macello"). Però è nel congegno dello sguardo, errato perché sporcato da egoismi e illusioni (" questo nostro mondo virtuale| altro non è che un'ottica illusione"), che potrebbe situarsi l'alternativa di una visione diversa, indagatrice e nello stesso tempo costruttrice e ricostruttrice di un panorama arido e avvilente ("nostro circo cavea|allucinogena camera ottica").
    Daniela Monreale (In Le voci della luna, trimestrale di Informazione e cultura letteraria e artistica- settembre 2002)
  • Grazie per Camera Ottica (..) In particolare sono rimasto colpito da Amor ctonio, con la sua architettura dialogica, "amebea", davvero interessante.
    Valerio Magrelli (da lettera personale)
  • (.....) Mi è piaciuto il tuo pudore, nel raccontare il tuo essere -nel-mondo ( linguaggio fenomenologico, molto diverso dal linguaggio psicodinamico probabilmente impiegato dall'analista di cui a pag.43). Mi è piaciuto il linguaggio, proprio negli assunti universali.
    Rossano Onano (lettera personale su L'altro sguardo)
  • (.....) mi ha molto ben impressionato la sua poesia che mi è parsa subito non gratuita (cioè di testa) ma un rispecchiamento di verità di vita, quindi necessaria, non eludibile.
    Luciano Luisi (lettera personale- capodanno 1999 su L'altro sguardo)
  • La tua poesia mi piace(.....) trovo che la tua scrittura ti sia calzante, fino in fondo. I due libri sono notevoli e non saprei creditare una graduatoria tra Camera ottica e L'altro sguardo. Hanno la stessa presenza di spirito, lo stesso senso della realtà e delle cose, la stessa energia intellettuale che ritrovo in Luci d'inverno ( inedito N.d. R) in una dimensione dinamica, insieme naturale e artificiale, come piace a me. "E' la memoria delle cose che sovrasta, il loro sordo rumore" ( inedito, N.d.R) Tutte le persone intelligenti oppongono al pessimismo dell'intelligenza l'ottimismo della volontà. Ne sei un buon esempio, anche come "immaginosa".
    Paolo Ruffilli (lettera privata- maggio 2003)
  • La Sue poesie sono bellissime, mi parlano con autentica voce, che sgorga da sapienza letteraria, se ne si intuiscono moltissime letture specie- o anche e soprattutto, di poeti stranieri.(.....) La rinvio a cercare nella veste del lettore, e sempre più nel tempo, altri sensi in ciò che come autore ha scritto, e a questo gradito ruolo di lettore ( bue, cane o cigno- cicogna-) mi arruolo anch'io, ed inoltre è una constatazione che del pari, condivido, suscitandola. (.....) Se la sua poesia può rivelarsi così ricca di musica, di respiro, di armonia e soprattutto di sensi, è "vera" poesia e riconoscendola Lei sarebbe tenuta a prestare e non solo infaticabile amore ma tutta la Sua libertà. Col coraggio che non Le manca, accendendo qualsiasi miccia, purché sia autentica nella sua vena.
    Alberto Caramella (da lettera personale 23 gennaio 1999)
  • Ho letto con grande interesse Camera ottica. Oltre ai diversi pregi posti in luce da Mariella Bettarini, ho colto una disposizione del tutto originale e cioè un linguaggio lirico che si pone al lettore come ricerca piuttosto che come descrizione di sentimenti interni e proprio questa disposizione costituisce l'elemento " drammatico" del testo.
    Giuliano Ladolfi, direttore rivista di critica letteraria Atelier, (lettera personale- novembre 2001)
  • Uno dei pregi della raccolta (o meglio, effettivamente poemetto) è nel rosario libico che viene sgranato fra le dita. Il fluire della preghiera, dell'atto d'amore e, di contro, della rabbia infertile. Una dismisura verbale che, per l'appunto, trova la sua energia e la sua espressività nella calibrata eppur nervosa forma fluens del verso, al quale l'insistenza rimica atonale dona una sostenuta astanza, mai manieristica.
    Ho digerito rabbia infertile|sfrangiato e distorto| il parametro di sopravvivenza| oltre il dolore l'atroce resistenza| alla tua scandalosa assenza. Brinda la mia penna, incide su carta|la tua insondabile persistenza Lo scandalo del vuoto e della solitudine, l'impotenza degli eloqui, la conversazione interrotta...... Sono elementi di drammaticità espressi in un lavorio linguistico, ossessivo, assai efficace.
    Certi arcaismi ( dolce stil novo?!) poi sono assai fascinosi:
    il gioco ricomincia| oppure è latitanza?| sono sola, immota| e non conosco via\ lingua o danza
    Sono straordinari questi cinque versi ( di cui quattro riuscitissimi settenari )! Congratulazioni!
    Gio Ferri (per Rivista Testuale, critica della poesia contemporanea, da lettera privata)
  • Ho letto Il Basilisco, che ho trovato intenso e a tratti spietato nell'analisi di sé e dei rapporti interpersonali. La densità delle rime e dei giochi fonici mi ha ricordato Lamarque e, soprattutto, Patrizia Cavalli
    Alberto Casadei
  • Complimenti per questa raccolta, in cui noto una netta affermazione stilistica. L'agone erotico-funebre si traduce in una ininterrotta battaglia linguistica, come in un'unica pulsione ( " sanguinavo pece| su me- voce".
    Valerio Magrelli
  • Ho letto Il basilisco con grande interesse e ho ammirato la tensione continua dei versi, l'aria da " battaglia"( da " amore o morte"), il monologare esclamativo o interrogante e mai pacificato, la fisicità delle metafore. Mi congratulo sinceramente con lei e con la sua scrittura, capace anche di spigolosità e sempre originale
    Tiziano Rossi
  • La sua opera poetica è così rigorosa e compatta, il suo discorso è fondamentalmente tragico, condotto com'è lungo una variazione continua di strazio, dolore, sacrificio, piena della vita che ha ben poche requie e ben pochi conforti. E' una grandiosa e acutissima allegoria della condizione umana di leopardiana disperazione senza lamento e lacrime, come rivelazione di verità
    Giorgio Barberi Squarotti
  • Il lavoro è incentrato sull'esperienza dell'amore che, come dice Saffo, scuote le querce sui monti. La nascita ad una nuova vita, ad un nuovo modo di contemplare l'universo, di percepire la propria identità e l'altro si rivela attraverso un'attenta introspezione psicologica, che la poesia fissa in caratteri che superano il tempo " il reale è questa nera| farfalla del tempo" . Il rivolgimento sovverte precedenti equilibri, deve scontrarsi con le precedenti certezze con le inevitabili conseguenze emotive ( tu mi chiedi ed io ti chiedo| il perché dello spavento| e del dolore trattenuto"). Il tempo e lo spazio subiscono deflagrazioni e curvature estranee alle leggi fisiche: la persona amata si pone come legislatore del mondo. Il bilancio non è confortante: "cosa sono io per te| adesso? Nulla niente| un errore una latitanza| una flagranza confessata| una dimenticanza". La poesia si presenta come una registrazione, una proiezione, un'oggettivazione e anche come una catarsi mediante la quale superare una "tardiva immaturanza".
    Giuliano Ladolfi (per Rivista Atelier)
  • Ho affrontato lo sguardo del tuo poetico Basilisco. Possente, intenso, ma mai totalmente avulso dalla coscienza del dolore, suo e del mondo, quindi, per logica ma non meno coinvolgente conseguenza, ancora capace di una estrema, lucida, vivida pietas. Forse perchè sa di avere anche lui, persino lui, nemici temibili. Esseri disposti a morire pur di contrastarlo alla pari, ponendosi sul suo stesso piano, osando sfidarlo, per diventare lui, restando loro stessi. Ed anche, non ultimo, il micidiale vetro che riflette fedele le immagini. Lo specchio, la coscienza del limite, eternamente superato, posto più avanti, finchè la sola mossa ulteriore è l'annientamento, il cupio dissolvi della Sibilla Cumana. Ma, imparando il rigore della misura, nel verso e fuori, nella pagina e nella vita, tramite la pratica ardua ma essenziale della brevitas, l'essenza, il succo, il senso, sgorga alla fine dai versi del tuo Basilisco, stilla di sangue e di linfa, un'aspirazione profonda e sincera alla vita, alla scoperta, all'esplorazione. Anche dei domini di dolori ulteriori, ma anche di territori non utopici di speranza. Nonostante tutto. Provando a cercare sempre e comunque "L'altro sguardo", lo sguardo altro, il solo che, per processi di osmosi, può mutare lo sguardo proprio, il modo di vedere e sentire interiore. Scongiurando la fine in apparenza ineluttabile: la logica dello specchio che, tramite una tagliente ma salvifica sincerità, può non essere più letale, ma, al contrario, illuminante, vivificante, ponte aperto verso prospettive più ampie e nuove.
    Ivano Mugnaini (da una lettera privata)
  • (…)In diverse poesie della “Camera ottica” mi sembra che tu ti ponga su una falsariga alta del novecento, penso a qualche esempio di poesia femminile dal tono doloroso-profetico-oratorio ( e insieme quasi stupito della banalità e ordinarietà del male, così come della trita regalità dell’eros): Silvia Plath, Annie Sexton ( senza però arrivare alla loro cruda tragicità) però secondo me in un’identica posizione di sdegno e lotta mentale che attraversa, disintegrandone la patina di levigata bellezza, il corpo stesso e il mondo dell’eros e degli affetti.
    Renato Nisticò (da una lettera privata, 2001)
  • La Musica Difficile di Renzia D’Incà

    A una prima lettura, la cosa che colpisce di più nella poesia di Renzia D’Incà è il piglio, intenzionalmente credo, più maschile che femminile, nel senso comune e convenzionale, in cui si usano questi termini. Ma, leggendo tra le righe, dietro la veste esteriore, si scopre un continuo lavoro di tipo psicologico, attraverso cui l’io scava sempre più a fondo e porta alla luce un magma ribollente di pulsioni e sensazioni. Su tutto domina l’aggressività, che sta alla base di ogni azione umana:” Se cedi presto ti divoro pasto caldo/ per la sera o ti scanno con calma/ domattina…” (da Camera ottica pag. 21). L’aggressività, come una molla tesa tra gli individui e tra i popoli, genera la guerra, ma anche l’amore. Infatti, nelle liriche di Renzia, l’amore è soggetto alle ataviche regole della caccia; chi è il cacciatore e chi la preda, la legge del più forte lo stabilirà:” tu baionetta infierisci/ dentro il pasto caldo delle reni/ abbattimi cane venatore…” (da Camera ottica pag. 37). Cos’è dunque l’amore? Uno scontro di anime e di corpi che si estingue nella voracità di un boccone e lascia l’amaro dell’inerzia, dell’assenza di desiderio e di sentimento.
    L’individuo che l’autrice ci descrive ha una valenza universale e comprende sia l’io narrante sia il tu-altro, altro da sé, il maschile e il femminile, comunque inesorabilmente svuotato, indifeso e fragile, al punto tale da rischiare di essere dominato e travolto dalle moderne tecnologie:” …mentre scivola via sul video/ del televisore la solita melma/ le chiacchiere insulse/ di vita virtuale…” (da Camera ottica pag. 72). Televisori, computer, cellulari e macchine varie sempre più invadono gli spazi della nostra vita, sia quelli esterni (le stanze, le case, le città), sia più pericolosamente quelli interiori. Ecco allora il bisogno di riscatto che Renzia grida con passione in alcuni suoi componimenti, il bisogno di riaffermare la propria autonomia dalle macchine, la capacità di distinguere tra realtà e virtualità:”…io vi giuro so ancora/ distinguere fra un amore transgenico e un amore/ umano fra un hacker delle emozioni in caccia e un/ terrestre autentico magari antidiluviano” (da Camera ottica pag. 76).
    E un gesto titanico questo di rivolta, che in qualche modo riesce a riscattare con dignità, dal meccanicismo esistenziale leopardiano che lo involve, l’individuo, altrimenti definito emigrante in terra di nessuno o naufrago della terra, capitato lì per caso, senza luce né guida. Dunque il titanismo ritorna spesso nella poesia di Renzia, sotto forma di ribellione improvvisa e di riscatto da una possibile schiavitù, anche nella relazione amorosa., intesa come confronto di impari poteri. Ma sovente i ruoli si invertono e, attraverso un doloroso processo, il prevaricato riesce a prevaricare, sottraendosi alla soggezione dell’altro:” di te so anche fare senza/ chiuderti la porta in faccia/… accanisciti dai,/ vuoi farmi ruzzolare?/ tanto non mi prendi/ sarai tu stavolta/ a cadere, tu a farti male/” (da Il Basilisco pag. 30).
    Analizzando anche in senso cronologico i vari testi, pubblicati nell’arco di circa dieci anni da Renzia D’Incà, appare evidente come la sua poesia sia l’espressione filtrata e raffinata di un lavoro di indagine psicologica, in continua e costante progressione.
    La sua prima raccolta infatti del 1995 si intitola Anabasi, che significa salita o risalita dall’esterno verso l’interno, con evidente e voluto riferimento alla omonima opera dello storico greco Senofonte. Proprio una sorta di anabasi interiore è la prima tappa-obbligata- di ogni tipo di psico-analisi: la risalita alle origini, intese come genitori, la rivisitazione cioè del rapporto con le figure del padre e della madre. Ma una volta ricomposto questo contatto, il lavoro analitico, che è un lavoro di scavo, continua per tutta la vita; si apre così un canale di comunicazione tra l’Io e l’Es, che offre all’individuo una gamma poliedrica e sfaccettata di punti di vista. E come se guardandosi nello specchio, ci venisse riflessa un’immagine sempre diversa. L’individuo, pur essendo unico, è in grado di accogliere in sé l’altro, gli altri, gli infiniti altri che costituiscono il suo mondo. Le due successive raccolte poetiche di Renzia D’Incà alludono nel titolo ( ma non solo nel titolo) a questa ambivalenza, o meglio polivalenza dell’atto del vedere, frammentato e spezzettato come attraverso un caleidoscopio: si tratta de L’altro sguardo e di Camera ottica.
    Nel corso della sua indagine l’autrice disvela continuamente la conflittualità che sta alla radice dei rapporti umani, sì da farla divenire una caratteristica peculiare: perciò la sua personalità poetica è stata definita ossimorica. L’ossimoro infatti, nella sua lirica, non è solo un artificio retorico( pur diffusamente presente), ma un dato interiore, una caratteristica dell’anima:” profuga da opposte sponde/ porto con me la necessità del viaggio/” (da L’altro sguardo pag. 31).
    Ne consegue una poesia elaborata e complicata, a volte difficile, in cui spesso il pensiero si nutre di pancia e carne e sangue si fanno idea e progetto:” La guerra è dentro di noi/ la Camicia è ancora bruna/ sull’arco erettile del fucile/ La strage degli innocenti/ annuncia un fine secolo esemplare/ il Novecento finisce sbranato/ come un animale.”(da Camera ottica pag. 48). D’altra parte la poetessa esprime il suo dissenso dal resto del mondo totalmente disumanizzato, ricorrendo spesso alla satira, una satira feroce, che fa sorridere solo a denti stretti e ricorda da vicino il Leopardi poco romantico delle Operette morali o della Ginestra:” Annoto le fessure del mondo sono/ un ossimoro di donna/ vivente gossip autentica foemina ludens/ Cerco uomo simil vinile magari avvolto/ in carta domopack/ per poche lire.” (da Camera ottica pag. 59).
    Sul piano strettamente formale, la lingua di Renzia è sempre tagliente e precisa come una lama ben destreggiata; tuttavia, man mano che la sua indagine poetica-analitica procede, l’espressione si va prosciugando, tende ai minimi termini, diventando sempre più concisa ed efficace. Nelle prime raccolte, infatti, c’è ancora spazio per ampi squarci lirici, che descrivono minutamente stati d’animo e sentimenti:” oggi ho voglia di annullarmi/ nel ventre caldo di una coperta di lana/ di vivere nascosta come ammoniva/ quel greco antico…lasciatemi dormire/ dentro l’opacità del mio salotto buono/” (da L’Altro sguardo pag. 34). Ma successivamente, le movenze autoreferenziali cedono il posto agli atteggiamenti provocatori, che prendono il sopravvento, finalizzati allo scopo di significare tutta la sua indignazione per il mondo circostante:” Esco nel week-end/ Per saldi di saldi/ Io schiavo di me-merce/ Conosco l’ingolfo d’auto/ il sabato mattina…” (da Camera ottica pag. 57). Questo processo di concentrazione sul rapporto tra il sé e l’altro da sé raggiunge il massimo livello nell’ultima sua pubblicazione, Il Basilisco :” niente addosso niente dentro/ iato silenzio sfinimento/ una quieta dissolvenza/ una funebre dissonanza/ vuoto di senso discrepanza/ tu solo e sola anch’io/ vuota la stanza/ dilagante l’inappaganza/ manca il desiderio/ latita la danza/…ti guardo non m’ascolti/ ti sento e non mi vedi/ è un dialogo tra ciechi/ visione tra sordi/ discorso d’animi dissolti/ vedi ciò che ascolti/ o ascolti ciò che vedi?/” (da Il Basilisco pag. 28-29).
    Questo è un esempio di poesia sonora e dissonante, pervasa da una armonia stridente, ottenuta con i suoni duri o secchi dei gruppi consonantici, che prevaricano sulle vocali. Il ritmo è incalzante, quasi marziale, scandito qua e là da qualche rima baciata o assonanza. Ne deriva una musica ad effetto, quasi una danza rituale d’amore e di guerra in cui le anafore e le iterazioni fanno da refrain; e l’ossimoro, sempre presente, diventa chiasmo.
    Infine, per concludere, è evidente che la poesia di Renzia scaturisce da una profonda ferita interiore, mai rimarginata, che coincide con la vita stessa, ma su di essa l’autrice lavora, facendo ricorso a tutti gli strumenti che la cultura le offre: i classici soprattutto da Saffo a Orazio, da Dante a Leopardi, fino a Montale, sua ultima (in ordine di tempo) fonte di ispirazione.
    Laura Di Simo (da una lettera privata)
  • Renzia D'Incà ha pubblicato quattro raccolte di poesia e due saggi di teatro, ha vinto nel 1995 il Premio Poesia inedita Montepulciano ed il premio Fabbri nel 1997. Nata a Belluno nel 1966, risiede a Pisa dove lavora nella formazione e ricerca teatrale e universitaria.
    Ho tra le mani il suo ultimo libro “Il Basilisco”. Leggo l'inizio, la prima strofa. Ho incontrato il tuo occhio/ sulla soglia e sono morta/ morta di paura morta di voglia.
    Si colgono già in questi primi versi alcune peculiarità della raccolta. La prima: la musicalità travolgente di chi si lascia andare, sentendosi libera in un duplice senso: libera (meglio: non condizionata) dalle regole codificate del linguaggio poetico; libera di trasmettere tumultuosamente ciò che si potrebbe chiamare pre-conscio, ossia quei pensieri, impulsi, di cui si ha una conoscenza spuria, perché compressi da una resistenza interna e che richiedono uno slancio creativo, che è anche sofferenza, per essere liberati e riportati alla luce. Ne nasce una sorta di danza (poetica) con una struttura strofica fluente, senza alcuna punteggiatura e mobilissima, dove a danzare è solo l'io (poetico) della protagonista, mentre l'Altro rimane sullo sfondo, immobile e silenzioso, ma continuamente cangiante.
    La seconda peculiarità: il desiderio e la paura, due sentimenti che incontrandosi-scontrandosi producono un lungo martellante grido d'amore insaziabile, inappagato, vorace, deriso e derisorio eccetera, eccetera. Questo grido è flusso della coscienza che nella pagina diventa flusso della poesia (viene in mente Patrizia Valduga di Medicamenta o certi versi dialogici della Achmatova), che ha, nel continuo andirivieni, il suo codice più segreto e sottile. Perchè in questo flusso, che, apparentemente almeno, è incoerente e irrazionale, c'è lo zampillare, devastante e disarticolato, onirico e regressivo, mutevole e teatrale, della creazione continua. L'interlocutore, a cui l'io protagonista si rivolge, può essere tutto: Dio-Padre-Mito-Poveraccio; in ultima analisi, può essere la proiezione dello stesso io nella sua voracità di ricerca della simbiosi.
    Per questo è indovinata la scelta della strofa-frammento, perché è come un ricominciare sempre da capo, perché inesauribile è la forza delle pulsioni, che vengono da lontano. Ed anche efficace lo scorrere fluido dei versi, che si fanno ora invocazione ora maledizione, ora adorazione ora fuga. La poesia è spesso diretta, chiara; colpisce frontalmente con il suo erotismo incensurato, ma spesso è anche simbolica, metaforica. Metafore o similitudini ardite, colte, originali. “Il basilisco” è inoltre una storia, meglio frammenti di storia, che si offrono -se si vuole- ad una interpretazione psicoanalitica, che sia però libera e aperta al mistero.
    Da ultimo (riporto) una strofa tra le tante, che dia il senso dello spessore poetico di Renzia D'Incà: di te m'accingo a scrivere ancora/ di te mi nutro mio pasto crudo/Prima ti lecco ti mordo ti rosicchio/ ai bordi, dopo ti ingoio intero/ infine ti sputo, oh mio rifiuto. Quanto ci sarebbe da dire sullo spessore psicologico ed esistenziale di questi versi nel loro incontro con un linguaggio poetico ricchissimo di implicazioni formali!
    Gianni Quilici (da rivista “Arcipelago”, Lucca 2008)
  • Il Basilisco

    Subito, grazie al trinomio titolo - immagine riprodotta in copertina - prima poesia (che risulta essere eponima) dell'ultima silloge poetica (Il Basilisco) di Renzia D'Incà, ci sentiamo trasportati in scenari leggendari assieme all'autrice. Ella ci conduce in una stanza misteriosa, mentre si lacera nella carne e lacera la carne, in una lotta finalizzata alla ricerca di una propria identità, magari anche soltanto parziale o temporanea, relazionandosi con l'"altro" da sé.
    Secondo la tradizione (un riferimento per tutti: Plinio il Vecchio), il basilisco poteva procurare la morte ricorrendo al semplice sguardo o alito; in seguito, in epoca medioevale, si credeva che bastasse vederlo per primi per poterlo addirittura uccidere. Esso viene raffigurato, con alcune varianti, con un corpo di gallo e una coda di serpente oppure con caratteristiche umane e in posizione eretta. Inoltre, al sangue del basilisco, come a quello dei draghi, sono state attribuite proprietà terapeutiche. Questi dettagli possono aiutarci nel processo di immersione, di avvicinamento ai versi di Renzia D'Incà, ignorando il reale e innocuo basilisco dell'America centromeridionale, per lasciarci trasportare in un mondo fantastico. Alcuni versi sono più oscuri di altri, i toni mutevoli, gli umori versicolori. L'eleganza si profila incostante. Metafore ricercate e semplicità si alternano.
    Una citazione da Platone introduce e invita alla lettura: <<l'amante è più divino dell'amato, | perché Dio è nel primo ma non nell'altro>>. E subito dopo, nella prima poesia di Renzia, leggiamo: <<ho incontrato il tuo occhio | sulla soglia e sono morta | morta di paura morta di voglia || da quel momento in poi | cessato mai ho d'amarti | tu di perseguitarmi || a stanarti tento | con la penna del disamore | straziarti vorrei che delle carni | tue mai sazia mi sento>>. Qui la poetessa, malgrado la premessa che rinvia alle parole di Platone, riesce comunque a mantenere inalterato il fascino dell'amato. E così per tutto il libro.
    Luigi Blasucci (ritroviamo la sua "prefazione" nel retro della copertina) osserva: <<All'interno di questa affabulazione del soggetto, in simmetrica antitesi con esso, si delinea la presenza di un non-io insieme complice e tiranno, che riflette nella sua alterità le ambivalenze di desiderio dell'io, ma con tutto il potere di fascinazione che gli deriva dalla sua funzione di demiurgo ("il basilisco")>>.....<<quei frammenti non restano dei puri referti clinici>>.....<<la tensione autoanalitica si traduce, cioè in creazione di linguaggio e di conoscenza>>, mentre i versi esplicano virtù terapeutiche sulla scia del sangue versato dal basilisco...
    Tali frammenti, dopo la poesia che dà il titolo alla raccolta, si coagulano in tre distinte sezioni: "Dal silenzio", "Un dolore particolare", "Niente è più com'era". L'ambiguità dei sentimenti e l'ambiguità delle forme si sovrappongono e intrecciano tra pulsioni contraddittorie, ossimoriche. La finzione delle maschere (<<spesso mi travesto | gioco a nascondino | ma tu lo sai bene | e aspetti || Poi ti mascheri tu>>) induce a chiedersi: <<Chi mangia chi?>>. Le metamorfosi del continuo divenire esplicano la loro funzione dispersiva: <<non sai chi sono | non mi riconosci>>; <<c'era un pezzo di me | sperso nel pozzo della mente | un pezzo di me perso | nell'universo. Ero | un anemone azzurro | un abbozzo di tela | cordame marcescente | radicato nella radura | del mio niente>>.
    Tutta la silloge si fonda su un atto di fede specifico: <<non ti vedo | eppure, ti riconosco>>. Nel contempo, però, vi è sfiducia: <<forse il perché del dolore | del soffrire fiorisce | dentro il solco del | nascere senza destino>>. Ma è stato proprio il destino a far incontrare la poetessa e il suo amato basilisco: <<chiedo chi sei chi sono | e perché tu perché noi | e noi due e perché perché | non altri ma io e te>>. Tuttavia, non sempre è facile accettare il destino: <<'insomma - urlo - basta! | che vuoi da me? | cosa voglio io, da noi?'>>.
    Il discorso scivola tra tanti rovi, tra ermafroditismo e incesti possibili; a volte il basilisco si configura come un bene, a volte come una dannazione. Tra colpi di gelosia e smarrimento. E rabbia e frustrazione. Ma anche esaltazione.
    Manuela Turco (Literary, rivista letteraria on line, gennaio 2007)
  • Il basilisco, nuovo libro di poesie di Renzia D'Incà

    Recensione di Adele Desideri
    Del dolore e dell'amore
    ovvero l'epicentro della terapia psicoanalitica

    Il nuovo libro di Renzia D'Incà (Il Basilisco, Edizioni del Leone, 2006, pagg. 43, Euro 7) è una storia in versi di sacrilegi, amori e alterità; è "un sacrilego esperimento" (pag. 13), un racconto di ambivalenze ossute e doloranti, nel quale chi ama rìgenera le energie dell'amato e scolpisce, a volte, le proprie nella roccia: "l'amante è più divino dell'amato,/ perché Dio è nel primo e non nell'altro" (Platone, pag. 4). L'originale titolo di questa raccolta poetica colpisce d'acchito: il basilisco è un terrifico e venefico serpente-drago, un animale mitologico latore di molteplici rimandi simbolici; da Plinio sappiamo che ha un fiato capace di appassire la frutta, uno sputo carbonizzante e uno sguardo che annienta. Il basilisco inoltre è vittima della propria malvagità perché la sua stessa immagine allo specchio lo incenerisce; esso desertifica tutto ciò che gli vive intorno, crea morte ad ogni suo passo. è cattivo eppure anche affascinante, non a caso è immagine della lussuria, peccato capitale. è quindi il mostro camuffato, l'ombra o l'inconscio che l'Io deve affrontare se vuole raggiungere piena coscienza di sé: infatti conoscere le proprie fragilità, anche quelle più sofferte e più remote, spesso coincide col superarle (Simonetta Figuccia, in Il basilisco, rivista "Individuazione", anno V, n. 18, pag. 6, (www.geagea.com/18indi/18_06.htm).
    Il basilisco perciò ben rappresenta il contrappunto semantico e formale che la D'Incà esprime in un verso ritmico e cadenzato, ricco di punti interrogativi ma quasi privo di altra punteggiatura, simile a "un frasario essenziale/ scorticato come un ramo/ di ciliegio dal bagliore/ del fulmine dilaniato/" (pag. 14). Il testo è uno sfogo-interrogazione, un balbettio del pensiero, rimato in baci e alternanze, e pare quasi cantato da una voce-lolita narrante che non disdegna il recupero della lallazione, di quella fase, cioè, in cui il lattante gioca con le sillabe e le ripete all'infinito. Il senso della prosaicità, della ripetitività, della monotonia semantica si alterna così ai moltissimi momenti di lirica tragicità. Il linguaggio utilizzato dall'autrice è quello interiore, quello degli occhi, delle orecchie e del cuore. Linguaggio transazionale, nel senso winnicottiano del termine, non infantile, però: ha il ritmo del respiro, delle stagioni, dei cicli lunari, del letargo-risveglio, delle maree. Pare di leggere una favola, quella di Biancaneve, nella quale il padre è la presenza-assenza. Il padre, o il terapeuta (le due figure si identificano) è il coprotagonista, insieme alla voce narrante. C'è, infatti, un uomo sconosciuto, che pare non vedente e forse non veduto: "ehi ma davvero vedi?/ mi vedi? Credi non mi sia/ accorta che fuori annotta/ piove e qui si gela?/" (pag. 10); "sei il e nel discorso/ principe ed ospite/...../una bifida identità/ ermafrodita eppure/ materna....../" (pag. 15). La D'Incà racconta il fluire di una libido edipica, di un tunnel analitico, dove non manca il senso dell'illecito: ".....sono-siamo/ dentro un solco peccaminoso/ insano, dentro un non dire?" (pag. 10); "mai perdonerai l'estasi/ di un dio invidioso/ che trappole ha teso un giorno/ un giorno esangue, peccaminoso" (pag. 23). Il terapeuta-padre si fa ".....Verbo/" (pag. 20), coincide quindi col sacro e dà senso al profano - "rovesciare i ruoli/...../.....mutandoti/ in figlio e da figlio in dio/" (pag. 12) - mentre il capro espiatorio è anche colei che sarà salvata, la paziente: "Su me immolato capro/ intoni il sacro canto/ innalzi un epicedio/" (pag. 20). Nella religione cristiana Dio si è fatto carne nella persona del Cristo, ne Il basilisco il soggetto in psicoterapia si fa storia e - donna/figlia/voce narrante - realizza una sorta di autosmembramento sacrificale che richiama, in qualche misura, quello del macrantropo Purusha, l'essere originario dei Veda (i più antichi libri sacri della rivelazione induista). Questo Purusha, la cui essenza è divina e creaturale al tempo stesso, opera un autosacrificio primordiale dal quale derivano le caste dei Brahmini, dei guerrieri, dei produttori dei beni di consumo, dei servi, quindi l'ordine cosmico, sociale ed etico. Così la D'Incà asserisce: "bellicosa madre Medea sono/ figlia e nutrice di sé/ implodendo si sfinisce/" (pag. 16) e segna impietosamente quel tunnel senza luce che è il percorso analitico, quel conflitto che, attraverso il transfert, opera la rinascita, o meglio la "nascita" - "e s/desiderandoti guarisco/ se vuoi rinominarmi fallo/ ma fallo bene e presto,/" (pag. 17) - e che crea stabilità, equilibrio, ponderatezza, come il Purusha.
    La voce narrante è vorace, desidera contenere, inglobare in sé "l'altro", per farlo sparire e al contempo per diventare "l'altro": "Mangiami a morsi, saziami/ fame delle tue parole/ pasto totemico...../...../ Chi mangia chi?/" (pag. 7- 8). Il desiderio illecito è dunque la comunione degli opposti che può creare pacificazione, è un pasto totemico - "vorace pasto di parole/"(pag. 22) - nel quale il totem è simulacro e agnello sacrificale, un pasto che divinizza nella misura in cui il mangiato è il nemico-complice, l'estraneo-divino, la totale alterità apofatica, l'uomo mai veramente goduto. C'è, in queste pagine, una seduzione dell'anima espressa tramite le metafore del corpo, c'è la rivelazione dell'anima e la sua denudazione nell'ambito del rapporto analitico: "mi sorridi mi accogli/ -ruffiano- già mi rispogli/.....// lesto che aspetti, fammi/ le fusa, su fammi la festa/"(pag. 38). Le immagini sono così intense che suscitano a volte il senso di un erotismo marcato; non è impudica l'autrice quando, senza pudore, racconta il suo amore di bambina troppo amata e nell'amore mai guardata: "<<bambina mia/ non si può fare/ lo sai, è proibito/ sarebbe un incesto>>./ Padre o amante/ - chiunque tu sia -/ per me questo/ è un sottile pretesto/ un invito manifesto/" (pag. 42). E la ".....bambina/ malata stanca ed assetata/" (pag. 34) risponde dispettosa: "sai che faccio?/ prendo un pennello/ di giallo ti coloro/ ti incollo sul foglio/ ti stropiccio e poi ti ingollo/" (pag. 34).
    I bambini, con la loro voce bianca, sanno dire cose terribili. Sono narcisisti, gelosi e possessivi: "e tu, dimmi, dove sei stato?/ eri solo o accompagnato? A chi abbracciato?...../" (pag. 27).
    "Allora perché e adesso/ sei muto, lunare, diverso/ sconcertato, perverso?/" (pag. 39): ambiguità e perversità sono, in queste pagine, le due facce della stessa medaglia, i due volti del Giano bifronte, sono le regine dell'Ade o dell'Es. Ma l'Io ha bisogno di essere puntellato quando nell'analisi l'Es rischia di sommergerlo: "Tu sentinella allerti/ e sorvegli che la diga/ non ceda e la vela/ non spezzi gli ormeggi/ dilaniata ai mirabili eventi/" (pag. 13). La D'Incà allora cammina sul filo del rasoio, in bilico, e deve stare attenta a camminare diritto, per non cadere: "Spiacente, sono fuori della mischia/ atleta dello sci, trampolinista/" (pag. 40), "accanisciti dai,/ vuoi farmi ruzzolare?/ tanto non mi prendi/ sarai tu stavolta/ a cadere, tu a farti male/" (pag. 31). è un gioco rabbioso e intrigante - "brindo al tuo pregevole gusto/ erotico impenitente/ intinto nel succo della mente/ tua tiranna inquirente//" (pag. 32) - nel quale non c'è preda e predatore, piuttosto, invece, c'è una profonda tensione emotiva, un'orizzonte di fiducia, un'attesa di guarigione.
    "Insomma voglio a te un gran bene/ o è sindrome di Stoccolma?/" (pag. 41): il quesito resta, e l'amore deve essere ".....Tenuto a bada,/ come una madre il suo/ bambino...../" (pag. 9), perché non isterilisca e non si isterizzi. "Nascere senza destino/" (pag. 15), o meglio vivere contro il proprio destino: questo è il dolore più coraggioso. La D'Incà è una poetessa brava e coraggiosa, capace di attingere alla memoria archiviata e decomposta - "c'era un pozzo di me/ sperso nel pozzo della mente/ un pezzo di me perso/ nell'universo....../" (pag. 35) - per scrivere un libro impegnativo e serio, nel quale non è più sola sulla colonna della propria storia - "me stilita...../"(pag. 20) - ma si solleva e cammina, celebrando un'elegia che ha un indubitabile valore di universalità.
    Adele Desideri (L'attenzione, rivista letteraria on line, febbraio 2007)
  • Anabasi

    Anàbasi è parola con cui il greco antico indicava l'esplorazione avventurosa di un territorio della costa verso l'interno. Per questa sua opera prima- che merita adeguata attenzione- Renzia D'Incà ha usato la parola nella sua portata metaforica, per farne il titolo dell'intera silloge:ed ha inteso indicarne il risalire nel tempo e nei luoghi dove il tempo s'è consumato, che contraddistingue il suo " diario di bordo" poetico.
    Divisa in tre parti, la raccolta rende conto prima del doloroso distacco delle figure parentali ( Segni dal tempo finito); poi pensosamente misura l'estensione di una solitudine contenuta tuttavia da nuove ragioni del cuore ( nuove voragini), e infine si propone quotidiani esorcismi per tenere alta la coscienza del vivere.
    Ciò detto, sarebbe riduttivo parlare di poesia di memorie, smarrita nelle brume della nostalgia. E infatti, in questi versi, è invece intenso e costante l'intreccio fra passato e presente, non contemplazione inerte, dunque, del tempo perduto ma vigile dialettica esistenziale, indagine sulla propria identità, investigazione sul rapporto fra l'io e il mondo.
    In questo risalire alle sorgenti di una identità che è genetica e spirituale la viaggiatrice ( ma ero tentato, nell'alone mitico della parola Anabasi, di scrivere l'amazzone, a indicare tutto l'ormai accertato vigore di una poesia al femminile) si muove insomma- voglio dire- con il corredo di una consapevolezza umana prima che letteraria, che " reinventa" il viaggio per trovare le ragioni della vita, e se possibile riaccendere nell'età adulta i globi d'oro dei verdi paradisi infantili.
    Questa poesia ci tocca e ci convince proprio per la riscoperta- oggi rara-dei grandi sentimenti legati alle proprie origini, alla famiglia e alla fedeltà del cuore; e poi per l'uso dei lasciti del simbolismo e dell'ermetismo per dire con la misura del pudore questi sentimenti( la Ragnatela d'inchiostro di cui parla l'Autrice, la trama misteriosa della sua lingua poetica; infine per il tono alto con cui il sottotesto emozionale si slarga verso l'elegia, fino alle sponde della poesia classica, Tibullo per fare un nome.
    Non esito a scrivere che versi come quelli per la madre perduta ( e ritrovata nel respiro della natura) si inscrivono nella nostra migliore tradizione poetica, da Leopardi a Montale. Che la poesia A mio padre, evocante con tenerezza il caro giovane vecchi, prende il respiro di una breve egloga. E che composizioni come Patto segreto( Aspettami quando mi senti lontana|se indugio sui miei passi|stordita dai rumori del dubbio),o Al bivio, o Insperati contatti sono intrecci preziosi di moralità e fantasia che fanno pensare al fervore malinconico di Annamaria Ortese.
    Ma perché continuare a citare? Si è levata una nuova, autentica voce della poesia. A noi , e al lettore, il piacere della scoperta.
    Ugo Ronfani ( da Prefazione a Anabasi)
  • L'ALTRO SGUARDO

    Le parole: la vita e la morte

    Il secondo libro è per un autore o una severa meditazione sul primo o la nervosa reazione per qualcosa che in quello non era stato detto o era sembrato detto senza la dovuta chiarezza e convinzione. In genere ciò provoca nell'autore o stordimento o ricerca furiosa di motivazioni che rispondono a logiche forzate e immotivate. Il problema per la D'Incà si pone in modo diverso: ora si tratta di andare oltre la poesia non sempre pura di Anabasi, quella che, usando la lingua talvolta troppo comune , " comunicava" troppe cose dimenticandosi di farsi linguaggio poetico e inventandosi più come poesia vissuta che scritta, I legami erano stretti con la terra, il sangue dei padri era motivo assoluto e indimenticabile. La razionalità interveniva chiaramente nella stesura dei testi e contribuiva a fare alzare il livello del disincantamento.
    In questo libro l'ordine e la misura non mancano, anzi l'essenzialità attenua in parte anche la rabbia segreta che si cela sotto le parole. E' giusto dire che un'autentica motivazione lirica seguita ad indirizzare verso forme più convincenti le soluzioni formali. Le metafore dell'Anabasi continuano ma senza nascondigli o impetuose ricerche. Il tempo vi lasciava scoperte le anime dei cari e le nuove voragini avevano tentato lo scandalo del cuore, lo scarto idilliaco era pervenuto al sacrificio estremo. Bisognava raccontare e raccontare, a tutti, e il viaggio doveva dfinire drasticamente perché aveva bisogno impellente di tramutarsi in linguaggio. Già allora le immagini nascevano per eccesso di verità intellettuali più che per urgenze consolatorie, e fu quel respiro narrativo a determinare ritmi e misure, focolai vivaci di pensiero che si nutrivano di inquietudini basilari nell'ambito di una ricerca che non correva mai il rischio di placarsi nella certezza dei miti.
    L'altro sguardo- questo nuovo libro- espone il punto di vista di chi guarda la vita con giustificato cinismo e con amarezza. E la D'Incà lo fa con un senso di raro equilibrio e anche con un gusto notevole della bellezza, intesa non come idillio o vana seduzione ma come problema aperto sulla vicenda del vivere, cioè incontro di sconforto e incanto per chi vuole affermare una propria presenza nello sferragliare anonimo di un viaggio di cui ormai si sono afferrati la caducità e il bisticcio, e la curiosità ulteriore di rovistare nei labirinti privati di una realtà empirica continuamente manomessa. I versi sono lì a ritentare un' elegia impossibile illuminandosi di significati più che di suoni:l'evocazione comporta il desiderio di sognare rivoluzioni perché il passato ha pure un senso nel porsi come premessa imprescindibile e assoluta di cose nuove. Il poeta vive su questo aggancio memoriale e fa sì che ogni immagine tenda a risolversi in una occasione precisa di " storia" perché la bussola rimane sempre l'autore, e il suo cuore: l'avvio di ogni testo annunzia sempre una dichiarazione di intenti, che poi si slarga a significanze corali, fino a concludersi spesso in un grido contenuto che talvolta si fa anche sentenzioso, e anche bello nella sua completezza e nella sua totalità. Pare che il verso tenda ad una sua verità non solo poetica, perché il disincantamento è lì, in agguato, esistenzialmente( un leopardismosottinteso e incombente che rende suggestiva la pagina) e le parole si fanno funzionali al loro modo fi voler stare nel contesto e nel mondo, parole su cui gravano memorie eccellenti, ormai appena in ombra, ma sempre capaci di rendere autobiografiche certe pagine dolenti e amare.
    Tuttavia da un libro audace e colto emergono anche le grandi tematiche, nodi emblematici di situazioni moralmente roventi assunti come boe e segnali di controversie universali, storiche e morali, fino a farmi domandare quali delucidazioni eventuali avrebbero fatto da contrappunto, in futuro, ad un così alto tasso di misteriosità tipico della poesia della D'Incà, la quale ha bisogno di improvvisi passaggi e scarti, umori e pause, nell'ambito della lingua così aderente al suo flusso interno e alla sue varianti in corso. Che il poeta avverta il limite dei propri miraggi è solo una misura edificante e d'obbligo, come poteva esserlo per un Foscolo, ritenendo il canto come emblema di una situazione disperante.(...)

    Il pensiero lo percorre con una struttura stilistica di supporto di alto livello che pone l'autrice su un piano di autentica modernità anche se sono evidenti i suoi solidi riferimenti classici e contemporanei. Un libro questo, organico, nelle sue parti, in cui utopie e constatazioni coesistono con lucida manipolazione di testi e di suoni. Vi sono respiri ampi e paure e attese. La cultura vibra nelle stesse immagini, senza farsi letteratura o pietà
    Dino Carlesi ( da Prefazione a L'altro sguardo)
  • CAMERA OTTICA

    Un'altra vista

    Testo singolarmente complesso, composito; testo forte, implosivo|esplosivo, questo; depistante, anche , per la sua complessione e complessità di toni, temi, fughe conferme,contraddizioni. Libro di non facile approccio. Ma libro di sicura maturità di pensiero-e-forma, perché prima ( ed insieme) fortemente corporeo|corporale, sentito, dofferto endogenamente:come si deve, come deve'essere un libro di versi che non voglia fuggire per la tangente delle "anime belle", del pensiero senza il corpo, dell'algda intellettualità disincarnata. Libro d'una donna la quale sa che attraversare intero il proprio esserlo non significa appannare il cerebro, svilire l'astrattezza assoluta del pensiero: al contrario: Significa, invece, conoscere (biblicamente "conoscere", anche) tutta la pesantezza e la gravità e la sanguigna, tellurica "grazia" della materia carnale, per accedere davvero, con sgomento e senza sgomenti, all'Astratto, all'Assoluto. Ma prima "sporcandosi", intridendosi qui e ora di tutto il greve (e grave) del corporeo e del contingente. Non c'è che il credersene esenti, immuni per esserne avvoltolati; non c'è che il reputarsi solo e subito parenti del Sublime per esserne il più abissalmente lontani. " Chi cerca la propria vita, la pe"derà”: questo credo possa essere un "viatico” per entrare nel corpo e nell'anima del libro. Senza prevenzioni, senza chiusure, senza spaventi. Libro talvolta spietato, che non (si) concede, come dev'essere un libro significante, sia esso di poesia o di prosa. (...) Ecco dunque, qua, una parola spesso esplicita, dura per dire, pensieri spesso duri ed espliciti. (...)
    Se la vista , dunque, quella acritica asservita vista, si fa spesso orribilmente schiava, sarà, è ancora la vista, un'altra vista, a redimerci: mediante le pacifiche armi della critica(...).
    Allora la "camera ottica" del titolo è tanto quest'altra vista( l'utopia, la visione) quanto lo strumento e l'oggetto di essa: e l'io scrutante( criticamente) è il tarlo che indaga se stessi e l'intero mondo. Sì, l'intero mondo , la Terra sono una " camera ottica”: amara , dura, spietata, quasi imperscrutabile,” Siamo noi l'ultima generazione| naufraga della Terra! Nostro circo cavea| allucinogena camera ottica”. Tale il possibile " foro” di salvazione.
    Questo libro di versi ne appare un credibile, coraggioso elemento cui accostarci con qualche speranza.
    Mariella Bettarini (da Prefazione a Camera ottica)

    Nella camera ottica

    Chi privi a scendere verso il fondo della caverna platonica rischia di imbattersi, in una notte di luna, nella l'anima bella e tormentata di Renzia D'Incà. Non ho mai capito, da quando la conosco di persona, se ritratti di fata o strega ( ma è poi tanto diverso?. Se l'etica e l'estetica del personaggio e depongono per la prima convenzione, l'errare delle sue parole lungo le rime scoscese che conducono a guardare in faccia il male di vivere, e senza ipocrisia a spregiudicare quanto di sfferma, davanti allo specchio dell'Io o agli occhi sgranati del proprio litigioso condominio, allora sia la strga a interrogarci se interroghiamo le sue non comuni poesie.
    Nel mito platonico le ombre si riflettono, sul fondo della caverna, per effetto dei raggi del sole, dietro l'osservatore. Ovvero passa attraverso il buio, come in una camera ottica. Ma la luce che produce lo stesso effetto, negli scritti di Renzia è, piuttosto, lunare. (...)Legittima è quindi la rivendicazione platonica se si pensa al significato che fa da fondale ai versi di Renzia, vale a dire la ricerca del senso per chi sta al mondo colle sole patetiche forze della ragione, e di quei fenomeni che chiamiamo emozioni, sentimenti, insomma il mondo affettivo.(...)
    Renzia con questi suoi scritti ci fa avvicinare un po' di più il mondo femminile e attraversa con questa prova matura il senso della sofferenza del nostro tempo. Sceglie di intridere i suoi versi di una dimensione teatrale, quasi che alle sue parole non basti più la piattezza bidimensionale della pagine ma, oltre il fondale bianco della cartta e il nero proscenio dell'inchiostro, se possibile, il verso consista, tridimensionalmente, anche nella sua fragile potentissima carne.
    Stefano Mazzacurati (da Postfazione a Camera ottica)
  • L'ASSENZA

    L'Assenza

    (in lavorazione).
    Concetta D'Angeli (da Prefazione a L'Assenza)

    Lettera di Concetta D'Angeli

    Ho letto le tue poesie e ti annoto le prime impressioni.
    Per tutta la raccolta vale l'ammirazione per le tue straordinarie capacità di far suonare (proprio così: far suonare) la lingua; ma ci sono alcuni luoghi specifici in cui questa tua dote brilla con particolare evidenza, per esempio in "e come deve sette anni dopo". Mi ha stupita e colpita il tono violento della seconda parte della raccolta (non so se è giusto chiamarla seconda parte, insomma quella che comincia da Ipossie binarie), un tono inconsueto in te e che mi piace molto, lo sento molto autentico. In senso artistico intendo, più e meglio che in senso reale e, credo, autobiografico. Mi pare il segno di una novità che mi attrae e che ti auguro di continuare - sono toni e modi che mi pare ti siano congeniali. Certo, sono assai diversi dalle caratteristiche espressive, più liriche fiabesche ironiche, delle tue precedenti raccolte - che peraltro ritornano, in parte, anche in questa, nella prima metà. Ma stavolta - te lo dico sinceramente - mi suscitano una certa stanchezza, un'impressione un po' stucchevole di dejà-vu, sebbene le abbia amate in passato. Tanto maggiore è la sorpresa del grido che scuote, qui, tutta la seconda parte.
    Molto convincente, davvero!
    Concetta D'Angeli

Biografia    Bibliografia